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A Barzanò la Festa di Liberazione del territorio Casatese

 

Un 25 aprile 2023 molto colorato e sentito quello celebrato a Barzanò. Tante bandiere tricolori, stendardi delle Associazioni locali e dei gruppi Ana di tutta la zona, quelli dei Comuni del Casatese accompagnati dai rispettivi Sindaci, la Banda musicale. Poi la vivace presenza delle ragazze e dei ragazzi delle scuole medie accompagnati dalla loro Preside Prof. Viviana Praticelli che hanno arricchito gli interventi ufficiali di grande spessore del Sindaco Gualtiero Chiricò e del rappresentante dell’Anpi provinciale Alberto Magni e ancor prima la toccante testimonianza del Parroco Don Renato Cameroni.

L’Amministrazione Comunale per la celebrazione dell’evento ha scelto due luoghi simbolo, quali il Parco delle Rimembranze e il meraviglioso cortile della villa ex Conte della Porta di via Castello teatro di vicende legate alla Resistenza partigiana nel periodo dall’autunno 1943 fino alla Liberazione dell’aprile 1945.

Il Parco delle Rimembranze per l’occasione è stato oggetto di vari interventi di restauro, sia del cippo in onore dei caduti, sia di tutte le targhette sulle quali sono impressi i nomi dei soldati e ufficiali che hanno sacrificato la propria vita nel primo conflitto mondiale. Questo ultimo intervento è stato realizzato dal gruppo Ana di Barzanò.

 

Discorso del Sindaco Gualtiero Chiricò

Carissimi concittadini, permettetemi di iniziare ringraziando le Autorità civili, militari e religiose, i rappresentanti delle associazioni partigiane e d’arme, delle associazioni locali e delle scuole.

Non è un caso se abbiamo scelto il parco delle rimembranze per la celebrazione del 25 aprile; questo è il luogo dove il ricordo dei caduti è più vivo e la memoria, la riflessione sugli avvenimenti del passato si svolgono con maggiore chiarezza.

Ricordiamo oggi la liberazione d’Italia dalla dittatura del governo fascista e dall’occupazione nazista del nostro paese. Pur nel tentativo di evitare retoriche inconcludenti e stucchevoli, non posso fare a meno di sottolineare quanto questa festa sia di per sé uno stimolo all’unità, di popolo, di intenti, di prospettive.

Tanti dei presenti hanno prestato giuramento sulla nostra Costituzione, antifascista nella sua stessa essenza, perché costruita parola per parola su concetti opposti a quelli che la dittatura del ventennio ha usato per il mantenimento forzoso del potere. La Costituzione che lega il lavoro al diritto, che definisce la libertà di espressione come valore fondamentale, l’assistenza ai più deboli come dovere sociale, che ripudia la guerra, e considera il senso di comunità come punto fondante della convivenza tra le persone, per costruire, mantenere e sviluppare una società inclusiva, solidale, giusta.

Il 25 Aprile fu il compimento della lotta partigiana, della resistenza antifascista di tutti coloro che credevano nella libertà a prescindere dalle loro convinzioni politiche. E oggi, come possiamo trasporre nel nostro tempo il concetto di resistenza?

 

Oggi il nostro obiettivo deve essere quello di resistere al qualunquismo, al revisionismo, ai tentativi di giustificare accadimenti orrendi o sminuire il senso della lotta partigiana. Dobbiamo essere resistenti e opporci a chi distorce la storia, opporci all’indifferenza, resistere a chi cerca di negare i diritti per differenze di genere, razza, orientamento sessuale, origine o religione; resistere alla corruzione, al potere mafioso, lottare per continuare a liberarci. Lo dobbiamo innanzitutto a noi stessi, perché siamo i protagonisti del nostro tempo, e lo dobbiamo a questi ragazzi, che ringrazio particolarmente per essere presenti oggi a ricordarci che se vogliamo costruire un futuro di giustizia sociale dobbiamo essere per loro un esempio e fornirgli spazio ed opportunità.

Ogni 25 Aprile può diventare una nuova liberazione, rinnovata e attualizzata negli intenti. La nostra Liberazione, che abbia un significato pluralistico e inclusivo, quindi ancora più convintamente antifascista.

A tutti noi, buon 25 Aprile!

 

Discorso del Parroco Don Renato Cameroni

Ricordo che quando avevo la vostra età – ha spiegato il sacerdote rivolgendosi ai giovani ragazzi presenti – ero sempre presente in questo momento perché mio padre aveva vissuto l’esperienza del campo di concentramento, sono in pochi coloro che hanno potuto salvarsi, ha impiegato sei mesi per tornare a casa. Voi giovani dovete cercare sempre di conquistare la libertà, sempre con il desiderio di fare pace con tutti, così come ha fatto mio padre che ha abbandonato ogni vendetta e ha deciso invece di costruire la vita.

 

 

Discorso del Rappresentante Provinciale dell’ANPI di Lecco Alberto Magni

“La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone”

I luoghi della Resistenza parlano, esprimono una forza simbolica che rievoca fatti, contesti, azioni e «motivi della storia». Scrisse Italo Calvino, il partigiano “Santiago” “La Resistenza rappresentò la fusione tra paesaggio e persone”. Definizione magistrale: e mai come in questi anni le celebrazioni del 25 Aprile hanno assunto di nuovo quell’immagine evocativa disegnata dall’orazione di Piero Calamandrei che nel 1955 invitava i giovani al pellegrinaggio sui luoghi della lotta partigiana, per scoprirvi il senso della Costituzione repubblicana. E qui, oggi, ne abbiamo la prova.

È così che queste strade, queste piazze, queste mura che oggi ci ospitano si rivelano piene e respirano, dello spirito costituente, ovvero dell’unica risorsa disponibile affinché questa crisi della democrazia rappresentativa, che è anche crisi di valori, non travolga i luoghi e i saperi della storia. Ma perché questo si verifichi le strade, le piazze, devono tornare ad essere frammenti preziosi del vissuto di un territorio, il passato che conservano e di cui sono testimoni deve essere restituito e consegnato a chi si sforza di ricomporlo per ricostruire i fatti e farli diventare memoria viva delle nostre comunità. Quanta resistenza è ancora nascosta, depositata nei faldoni degli archivi comunali, quanta Resistenza è destinata a scomparire con i ricordi dei testimoni, di chi quegli anni ha vissuto o ne ha raccolto le tracce. Un deportato sopravvissuto ai lager tedeschi ha lasciato scritto alcuni anni dopo il suo rientro: “Raccontare poco non era giusto, raccontare il vero non si era creduti, allora ho evitato di raccontare…” Il mio è un appello che rivolgo ai responsabili degli enti locali, un appello che rivolgo agli anziani o molto anziani, non venite meno a questo ‘dovere civico’.

Nel settembre del ’43 queste strade, queste valli, questi sentieri, furono percorsi da genti in fuga, antifascisti, ebrei, militari italiani ed ex prigionieri alleati, le montagne del Comasco si riempirono di renitenti alla leva, di sbandati, di quello ‘spontaneismo autosufficiente’ delle prime formazioni partigiane di cui parla lo storico Claudio Pavone nel suo saggio “Una guerra Civile”, le nostre montagne, le nostre valli costituirono le vie di passaggio verso la Svizzera, una terra che, nonostante la barbarie dei tempi, rappresentò un approdo per molti, un approdo di libertà e salvezza (la Svizzera accolse nel corso della guerra oltre 293.000 rifugiati di tutte le nazioni) . Di questo esodo e delle embrionali iniziative di Resistenza si fece complice la gente comune dei nostri paesi, che rifocillò, vestì, nascose chi fuggiva, rischiando a sua volta la deportazione in Germania, mostrando il volto migliore di un territorio, di una popolazione, composta di operai, di contadini, artigiani, preti, uomini e donne di ogni ceto, che non si son fatti travolgere dall’orrore, dalla paura e hanno scelto, hanno scelto di mettere a rischio la propria vita per salvare l’esistenza di altri. Non anteposero uno sciagurato slogan che da qualche anno imperversa anche in queste plaghe esibendo tutto ciò che non fu la Resistenza, “prima gli italiani”.  È vero, i partigiani e gli antifascisti erano italiani (non solo); i partigiani si definivano «patrioti» ben prima che di questa parola si impadronissero i Fratelli d’Italia. Ma l’Italia che volevano, la patria a cui appartenevano, era un’altra. Era l’Italia che rifiutava tutte le nefandezze di cui si era fatto carico il fascismo, prima e dopo l’8 settembre, dalla persecuzione degli ebrei alla repressione dei diritti, era l’Italia dei valori irrinunciabili, di pace, libertà e giustizia sociale. Se ci vogliamo ricongiungere a quegli anni è a questi valori a cui ci dobbiamo ispirare. Allora impareremo a non essere indifferenti, a non voltare la faccia da un’altra parte, a non essere solo spettatori delle sciagure altrui, ma farci carico della sofferenza e del dolore degli altri come fossero nostri. Impareremo a contrastare l’egoistico adagio ‘prima gli italiani’ e sostituirlo con quello che meglio riflette lo spirito della Resistenza, “prima l’uomo’, “prima l’uomo” senza aggettivi, “prima l’uomo” senza distinzioni, questo è l’insegnamento che ci proviene da quegli uomini e da quelle donne.  La Resistenza è stata una grande palestra di Educazione civica, una scuola diffusa di solidarietà, a cui non mancarono mai scolari. (alcuni ancora sconosciuti, ma non esistono eroi anonimi, semmai eroi da fare uscire dall’anonimato).

L’Anpi da qualche anno suo ha realizzato le mappe dei luoghi per ricordare le donne della Resistenza accompagnandole in occasione del 25 aprile con l’iniziativa della posa di un fiore in tutti i punti in cui sono cadute le donne partigiane, per dare all’antifascismo il senso di una radice storica diffusa. Teniamo bene a mente le parole del partigiano Arrigo Boldrini, il ‘comandante Bulow’, il suo testamento ideale: «Abbiamo combattuto per la libertà di tutti; per chi era con noi, per chi non c’era ed anche per chi era contro. Tutti i morti meritano rispetto ma non si possono confondere i combattenti della libertà e quanti scelsero la dittatura».

 

Invece le frasi pronunciate da alcuni esponenti dell’attuale Governo (su via Rasella, “Pagina ingloriosa, i partigiani non uccisero i nazisti ma una banda musicale di pensionati” e sulle Fosse Ardeatine “335 italiani innocenti massacrati solo perché italiani”) sembrano voler rovesciare tale distinzione trasferendo le responsabilità delle violenze, dai veri carnefici, fascisti e nazisti, a coloro che li combattevano, i partigiani. Dimenticando che nel nostro Paese la Resistenza è stato l’evento di popolo più importante del Novecento, a cui hanno partecipato tutti gli italiani: comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani, liberali, cattolici, monarchici. Tutti, tranne i fascisti.

Ma noi non permetteremo che questi ripetuti esempi di lettura revisionista dei fatti storici, funzionali al disegno di voler tagliare le radici antifasciste della Repubblica, sfigurino e avviliscano la trasmissione della memoria e la cultura costituzionale del paese, (piegando) usando la storia per scopi e interessi politici del presente Noi non permetteremo che ciò avvenga e per fortuna in questo compito abbiamo un valido alleato: la nostra Costituzione. La Costituzione è essa stessa la Resistenza, come ha spiegato bene uno dei padri costituenti, Piero Calamandrei. Teniamocela stretta e facciamola vivere. Rosario Bentivegna, il cui nome resta inscindibilmente legato alla più grande azione di guerra compiuta dalla Resistenza europea in una capitale occupata dalla Wehrmacht, quella del 23 marzo 1944 in via Rasella, rivendicava sempre con orgoglio, «io a via Rasella ci sono stato perché ci volevo stare. E ci sono sempre rimasto», difendendo l’azione dei partigiani di fronte a chi, tra falsi storici e calunnie, tentava di associare le responsabilità della strage nazifascista delle Fosse Ardeatine ai partigiani. Anche noi oggi in questo luogo che ha visto sorgere una brigata partigiana sfidando la forzata convivenza con l’occupante tedesco, anche noi in questo luogo permeato dello spirito della Resistenza, con la spinta che ci deriva dalla forza viva della memoria, possiamo dire, ‘qui ci siamo stati perché ci volevamo stare, qui ci siamo, e ci saremo ancora’. Noi sappiamo come sono andate le cose. Ora e sempre Resistenza.

 

Discorso della Professoressa Viviana Praticelli Preside dell’istituto Comprensivo di Barzanò

Non è semplice trasmettere l’amore per la libertà ai nostri ragazzi, […] tutti i giorni fra i banchi di scuola cerchiamo di far capire che la nostra storia non è qualcosa di lontano da noi. […] Ogni giorno cerchiamo di educare ai valori della Resistenza, della democrazia e della libertà.

 

Intervento dell’Assessore Giovanni Sironi

XXV APRILE LA RESISTENZA IN BRIANZA

Nel suo diario Edoarda Della Porta, la Dodi scrive: “Alle 16 del 25 aprile 1945 Papi, come lei chiama il padre il conte Della Porta, accompagnato dal parroco di Barzanò don Redaelli convoca nella sua ortaglia il comandante delle SS acquartierate nella sua villa, lo convince ad accettare la resa. È dura ammettere che deve lasciare le armi a quattro scamiciati. Il conte consente al comandante di mantenere la sua pistola. la Dodi annota” chi avrebbe mai detto che sarebbe diventato un posto storico”. Don Redaelli era da tempo nel mirino dei fascisti di Barzanò, perché si era rifiutato di leggere il proclama della RSI che invitava i giovani a rientrare nelle truppe della RSI.

Ricostruiamo come si è arrivati a questo momento.

Il 25 luglio 1943 arresto di Mussolini, crollo del regime; Badoglio conferma l’alleanza con la Germania e il mantenimento di tutte le leggi, compresa quella razziale del ’38; è la solita tattica di Badoglio che l’8 settembre annuncia la firma dell’armistizio con gli alleati.

Il 12 settembre nasce la R.S.I. stato fantoccio creato dai tedeschi.

Nei 45 giorni trascorsi dall’arresto di Mussolini alla proclamazione dell’armistizio, anche nei nostri paesi incominciano a emergere le prime azioni avverse al fascismo.

Immediatamente dopo l’armistizio, scatta il piano di occupazione, accuratamente già predisposto, del suolo italiano.

In quasi tutti i paesi da loro occupati, i tedeschi avevano formato con i residenti dei reparti militari che avevano inserito a vario titolo nel proprio esercito; fra questi, spiccavano i battaglioni delle SS. Anche in Italia, ormai paese satellite, si percorse questa strada, anzi lo stesso Mussolini, sempre preoccupato di non perdere considerazione presso il Fuhrer, chiese la formazione di reparti di SS italiane già il 24 settembre 1943.

I fascisti aiutati dalle SS operano azioni di rappresaglia.

Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano, dopo aver convinto il Duce, si accinge a militarizzare il partito. Egli vuole solo elementi di fede indiscussa, che vadano a combattere i partigiani, che stanino i traditori, che facciano i cani da guardia del fascismo con la massima intransigenza.

I PRIMI MOVIMENTI DOPO L’8 SETTEMBRE

Il 9 settembre a Ponte Lambro il parroco don Giovanni Strada e Giovanni Rizzi decidono di costituire il movimento clandestino di resistenza militare in Brianza con lo scopo di assistere i militari del disciolto regio esercito.

Negli stessi giorni all’Alpe del Viceré, sopra Erba, si era spontaneamente formato il “gruppo Robbiati” composto da giovani sfollati in Brianza e da militari che si erano sottratti alla cattura tedesca.

Si formano gruppi partigiani ai Resinelli e in Erna, questo formato in gran parte da operai provenienti da Sesto San Giovanni e con simpatie comuniste

Lo stesso avviene sul San Genesio, dove si erano insediati circa sessanta militari, il gruppo comandato dal capitano Arnaboldi di Oggiono si fonde con quello di Renato Saverio. Questi primi partigiani, sfruttando la confusione iniziale, percorrono il territorio brianteo recuperando nella caserma del V° Alpini di Lecco pistole e vestiario, ad Albavilla 60 moschetti e due sacchi di caricatori, a Inverigo presso il Centro Aereonautico di avvistamento di armi, munizioni, radio e materiale aereonautico.

Il 30 settembre a Barzanò e ad Annone compiono un colpo di mano per recuperare armi.

Dopo un’iniziale sottovalutazione della potenzialità delle forze antifasciste, a partire dal 30 settembre circa 300 SS spalleggiate dai fascisti iniziano un rastrellamento della zona alla ricerca degli sbandati, obiettivo eliminare il maggior numero dei centri di raccolta dei gruppi degli “sbandati”.

Sul San Genesio, il 10 ottobre le SS attaccano violentemente il distaccamento di Giovenzana con l’intento di circondare l’intero monte. L’operazione dura due giorni.

Alla fine, si contano 3 morti, 2 feriti e una trentina di partigiani prigionieri. La maggior parte riesce a fuggire spostandosi verso i Resinelli.

“Pesantemente teutonica”, così Gianfranco Bianchi la descrive nella sua fondamentale opera di ricostruzione dell’antifascismo e resistenza nel comasco, è l’operazione condotta sul Pizzo d’Erna ed al Campo dei Boj, sopra Lecco.

4500 SS della divisione Cacciatori di Montagna, suddivise in varie colonne, muove contro i circa 400 “ribelli”. Lo scopo è quello di annientare e di disperdere ogni resistenza dalla bassa Valtellina alla Bergamasca.

I rastrellamenti in Brianza sono continui, soprattutto a seguito delle delazioni: i repubblichini avevano promesso molti soldi in cambio di informazioni. È grazie a queste che a Mondonico, frazione di Olgiate Molgora, il 23/1/1944 viene arrestato e poi deportato Aldo Carpi, uno degli artisti italiani più famosi.

CARATTERISTICA DELLA RESISTENZA IN BRIANZA

Se le formazioni partigiane in montagna hanno costituito forse l’elemento più caratteristico, non furono il solo aspetto della Resistenza. La lotta contro il nazifascismo si svolse sia in pianura che nelle città, dove furono condotte con una vasta gamma di azioni dal modesto sabotaggio a vere e proprie battaglie.

L’attività cospirativa e in armi condotta in Brianza si sviluppa immediatamente e diventa componente decisiva nella fase terminale del conflitto. D’altra parte, considerando la natura geografica nel quale opera, il partigiano di pianura e di collina non può mostrarsi come ribelle e combattere a viso aperto; deve pertanto convivere con il nemico e agire con segretezza e tempismo.

Immediatamente dopo l’8 settembre, in Brianza, sulle strade di congiunzione e lungo le linee ferroviarie si stanziano guarnigioni tedesche e numerosi reparti fascisti. Nella nostra zona le più controllate furono la Seregno – Carnate – Bergamo; la Lecco – Molteno – Como; la Milano – Monza – Besana – Molteno – Lecco; oltre alla Milano Como.

Lungo queste ferrovie i partigiani compiono numerosi attentati.

In questo periodo la Brianza diventa un’area fondamentale per favorire la fuga degli ebrei e dei prigionieri alleati.

I Corni di Canzo, l”Alpe del Vicerè, San Salvatore, Pian del Tivano, San Primo sono le zone per il transito degli ebrei e degli sbandati verso la Svizzera I punti di attraversamento sono a Lezzeno, il paese verso Bellagio, e poi verso l’altra sponda del lago per raggiungere la Svizzera, valicando alte vie.

I continui bombardamenti su Milano hanno generato il fenomeno degli sfollati, Anche questo ha contribuito a sviluppare un pensiero antifascista. Infatti, tra gli sfollati erano presenti numerosi esponenti antifascisti.

Anche in Brianza avvengono bombardamenti, ma non sempre efficaci. Il 30 settembre 1944 alcuni bombardieri alleati arrivano su Erba dove sganciano bombe sul mercato piuttosto che colpire la zona vicino al lago di Pusiano dove c’è un ammassamento di camion tedeschi. Risultato 80 civili morti con donne e bambini.

La situazione economica diventa sempre più difficile, le famiglie hanno le tessere annonarie per ritirare le razioni alimentari, ma queste non bastano per soddisfare le esigenze delle famiglie.

Si diffonde la borsa nera; le autorità delegate al suo controllo non sono in grado di controllarla. Il capo del fascio di Barzanò nella sua relazione al prefetto di Lecco è costretto ad ammettere che “comprando ai prezzi di borsa nera la roba si trova e purtroppo si troverà sempre”.

Ulteriore elemento: per aumentare le proprie truppe i tedeschi resero obbligatoria la deportazione di lavoratori per lavorare in Germania.

Le prime Squadre di azioni partigiane (SAP) si sviluppano all’interno delle grandi fabbriche con gli scioperi del 43, ma è soprattutto con quelli della primavera del 44 che esse si rafforzano. Nella Brianza centrale esse non sono ancora presenti; ma era presente una grande forza lavoro; non dimentichiamo che gran parte degli operai presenti alla Falck, alla Breda, alla Pirelli, alla Marelli provenivano dai nostri paesi.

Nelle nostre zone opera la brigata Puecher, intitolata al primo partigiano titolato di medaglia d’oro in Lombardia, e formata principalmente dai cattolici.

Giancarlo Puecher sfollato da Milano nella villa paterna in Brianza a Lambrugo, dopo l’8 settembre, fa immediatamente la sua scelta, assecondato dal padre Giorgio, antifascista da molto tempo e che morirà a Mauthausen. Giancarlo organizza immediatamente a Lambrugo un piccolo nucleo di giovani resistenti che operano nella zona attorno ad Erba. Con i compagni si impegna a trovare le risorse, soprattutto armi, auto e benzina per il rifornire i partigiani che operano in Valassina.  Prima è costretto a svolgere la sua attività lontano dalla sua zona, poi, tradito da un infiltrato, viene arrestato. A causa dell’uccisione di due fascisti da parte di sconosciuti, viene condannato a morte da un tribunale creato sul momento, anche se non può essere accusato di fatti sanguinosi. Il suo impegno costante, la capacità di motivare altri giovani, la sua dirittura morale sono ritenuti troppo pericolosi per la traballante dittatura.

Viene fucilato ad Erba il 21 dicembre del 1944.

Ecco la lettera che ha scritto al padre, antifascista e che verrà ucciso a Mauthausen.

“Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto … Accetto con rassegnazione il suo volere.

Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono.

Viva l’Italia.

Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia Mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita.

L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale.

Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia.

A te Papà l’imperituro grazie per ciò che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti.

Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si sgomentino di fronte alla mia perdita. I martiri convalidano la fede di una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà.

Baci a tutti.”

Nella nostra zona operano diversi gruppi: a Villa Raverio frazione di Besana, quello di Raffaele Pessina, ”Tom”, il cui compito principale è quello è quello di creare la situazione favorevole per il lancio di armi da parte degli alleati, cosa che non avvenne e di mantenere efficiente l’ospedale di Besana, trovando l’accordo del primario;  a Nibionno quello di Nino de Marco.

A Bulciago è presente il gruppo di Pietro Sasinini “Sas”. Egli è arrivato in Brianza con il suo compagno Antonio Cantoni nell’agosto del ’44, dopo aver partecipato alle azioni in Val Sesia, che lascia a seguito del tradimento della popolazione e della feroce offensiva nazifascista. Grazie a questa sua esperienza sarà nominato comandante della Puecher.

A Barzanò opera il conte Gianfranco Della Porta, medaglia d’argento nella Prima guerra mondiale. Diplomatico di carriera, dopo aver operato nelle ambasciate di Washington, Bucarest, Berna e Madrid, Bruxelles e Parigi, è nominato Ministro consigliere di ambasciata a Berlino Dopo l’8 settembre la sua scelta è immediata e mette subito la propria villa a disposizione di coloro che non accettano l’arruolamento nelle truppe della RSI. In collegamento con il cugino Visconti di Modrone, che opera nel mausoleo del Tremoncino di Cassago, e con il Pietro Sasinini organizzano piccoli gruppi; ad essi si aggrega anche il gruppo di Oggiono organizzato dall’avvocato Grassi. La loro azione è positiva tanto è vero che molti giovani raggiungeranno le formazioni partigiane operanti in Valsassina.

A Barzanò attorno al conte della Porta si forma presto un gruppo molto efficiente, nel quale si distinguono Peppino Besana e i due fratelli Guerino e Carletto Besana. (nonostante il cognome non erano parenti; Carlo sale subito in Valsassina seguito da Guerino. A Carlo viene assegnato il compito di portare viveri ed armi ai compagni rifugiati ai Resinelli ed a Introbio, eludendo i posti di blocco istituiti dai nazisti e dai repubblichini.

Il 24 luglio del ’44 Carlo, con un compagno, deve recuperare delle armi a Costamasnaga. Al ritorno, nei pressi di San Feriolo, vengono intercettati da due militi che fingono di riparare le proprie biciclette in mezzo alla strada. Non possono retrocedere, questo vorrebbe dire dare nell’occhio. Per evitarli scendono nella cunetta, ma i due repubblichini che li stavano aspettando li provocano e alle risposte dei due barzanesi rispondono sparando loro.

Carlo risponde a sua volta e rimane ferito. I due fascisti fuggono.  Il compagno accompagna Carlo, dolorante e sfinito, in grave crisi dal conte Della Porta. Quando si riprende vedendo il Conte e i suoi amici, per evitare di comprometterli, nonostante sia stato ferito gravemente vuole andare via. Il Conte lo rassicura, non ti preoccupare, ti cureremo noi. Carletto non vuole sentire ragione, alla fine viene convinto. Viene curato all’interno della torre rimasta del castello. Dove secondo notizie parte un cunicolo che da Barzanò porta al monastero di Cremella. Un altro cruccio attraversa la mente di Carletto: chi porterà i rifornimenti a quelli là che stanno su in montagna? Manderemmo altri, ma non sanno la strada.

La famiglia è sotto controllo, la mamma ammalata viene trasferita a Besana; le sorelle si offrono prigioniere pur di non rivelare dove si trovano i due fratelli.

All’inizio dell’estate, Guerino scende per conoscere le condizioni del fratello. Alla fine, decidono di rientrare in Val Biandino, nonostante Carlo non sia completamente ristabilito.

L’11 ottobre, al mattino, parte un rastrellamento. Guerino assiste un compagno ferito, non vuole lasciarlo solo. È investito da una raffica di mitragliatrice. Pur ferito risale la valle, deve avvertire i compagni del grave pericolo. È ormai sera, i compagni lo trovano in una grotta. Carlo non vuole, non può lascialo solo. Guerino gli muore tra le braccia.

Costruisce un muretto all’ingresso della grotta, questo non impedisce ai nazifascisti di trovarlo.

Portato ad Introbio, rincuora gli altri ragazzi che sono stati arrestati.  Nonostante sia sottoposto a torture non rivela dove siano i compagni. Il 14 ottobre, dopo aver scritto la toccante lettera alla mamma, viene fucilato, non prima di aver esclamato: Chè el va el prim de Barzanò.

“Cara mamma fatevi coraggio quando riceverete la notizia della nostra morte, ho ricevuto i Sacramenti e muoio in pace con il Signore. Mamma non pensate al fratello Guerrino perché l’ho assistito io alla sua morte.

Arrivederci in Paradiso. Figlio Carlo. Ciao”

ECCIDIO DI VALAPERTA

Anche in Brianza proseguono i rastrellamenti e le fucilazioni. Il 3 gennaio 1945, sulla strada che da Valaperta conduce a Lomagna, sono giustiziati Natale Beretta di Arcore, Gabriele Colombo di Arcore, Mario Villa di Biassono, Nazzaro Vitali di Bellano, accusati, senza prove, di aver partecipato ad uno scontro dove morì un militante repubblichino.

Il medico condotto di allora, il dottor Guerrino della Morte, nella sua relazione descrive lo stato di estrema prostrazione dei 4 ragazzi dovuto alle atroci sevizie subite durante gli interrogatori.

Nel mese di aprile l’azione

IL 25 APRILE

Si avvicina sempre più il momento dell’insurrezione generale.

Il 25 aprile Leo Valiani a nome del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) proclama l’insurrezione.

Nella provincia di Como le forze partigiane si organizzano: a Como opera la Brigata Garibaldi “Perletta” al comando di Tonghini; a Lecco c’è la Puecher sotto il comando di Sasinini Sas; a Casate un piccolo distaccamento di Giustizi e Libertà; a Canonica Lambro le Fiamme Verdi.

Con lo scoccare dell’insurrezione incomincia il recupero delle armi, essendo questo da sempre il problema delle truppe partigiane, presso le guarnigioni nazi fasciste.

Nella nostra zona sono presenti: a Lambrugo le PS, a Inverigo e a Lurago le SS, La Brigata Nera a Tabiago, le SS a Barzanò, Casatenovo, Missaglia, a Seregno oltre alle SS la Luftwaffe, l’aeronautica tedesca, presente anche a Montevecchia; a Rovagnate la PS

A Merate ci sono 500 SS mongolo-tedesche-italiane, le azioni per il loro disarmo saranno alla base degli scontri del 26/27 aprile.

Il 25 a Casatenovo entra in azione Tom che la sera prima aveva partecipato al disarmo della caserma di Tabiago; porta con sé uomini di Calò e Casatenovo, purtroppo i fascisti non hanno lasciato armi. A lui si aggiunge il maggiore Contini, comandante delle Fiamme Verdi, dislocate alla Canonica, come punto di contatto con il Milanese, per organizzare la difesa del salumificio Vismara.

A Missaglia e a Cassago la liberazione è più facile, perché i gerarchi locali fuggono e i fascisti si dileguano.

A Barzanò, 50 SS, “lavorate” da Pepino Besana, depongono immediatamente le armi, Peppino e il suo compagno Ambrogio Casiraghi, se le mettono in spalla e, passando davanti alle esterrefatte sentinelle presenti sul portone della villa, le portano nel cortile della scuola elementare dove stanno confluendo le armi recuperate nella zona.

Inizia la trattativa che ho descritto all’inizio.

Quali argomenti abbia usato il Pepino per convincere le SS, sarà sempre un mistero, non ne ha parlato neanche con il figlio; il quale, dopo aver appreso delle azioni del padre solo dopo molti anni e inizia un suo articolo ricordo, usando il linguaggio tipico della Liguria, dove viveva ormai da anni; “Belin potevi anche dirmelo prima”

È questa riservatezza che contraddistingue coloro che hanno partecipato a quelle gloriose giornate.

IL 26 APRILE

Il 26 è foriero di preoccupazioni: infatti i fascisti, ma soprattutto i tedeschi, presenti in grandissime forze a Bergamo e vicinanze, a Grumello del Monte c’è un campo di concentramento, vista l’impossibilità di tornare in patria attraverso il Brennero, decidono di passare in Svizzera.

Per raggiungere Como, dove hanno stabilito il loro punto di riunione, devono necessariamente attraversare a Brianza.

Il mattino del 26 una numerosa colonna tedesca viene bloccata e disarmata a Bulciaghetto; i militari vengono racchiusi all’interno dello stabilimento Masciadri, dove ha sede il comando partigiano del Sas. (anche in questo caso, come per Barzanò erano presenti squadre nazifasciste!!).

Intanto le operazioni a Bevera e a Barzago sono coordinate da Adamo Degli Occhi, un ex ufficiale dell’esercito. Un camion tedesco viene fermato, gli occupanti si arrendono lasciando le armi, ma uno di loro, che aveva nascosto una pistola apre il fuoco, ferendo alcuni partigiani. A seguito della sparatoria i tedeschi riescono ad ecclissarsi.

Alla sera del 26 aprile il Comandante Sasinini il Sas decide di recarsi a Merate con un camion di volontari per rinforzare l’assedio delle SS e costringerle alla resa. A Merate viene raggiunto dal Degli Occhi con altri partigiani e da don Marco Cattaneo, da sempre accanto ai partigiani.

Nella sera viene raggiunto l’accordo e verso le 22 i componenti della Puecher decidono di rientrare.

Il camion con Sas e i suoi uomini, ha un problema meccanico, Degli Occhi con il suo topolino e con il suo seguito percorre senza problemi la strada fino a Rovagnate. Qui si aspetta di essere controllato da un posto di blocco. Nessuno si presenta. Poco dopo viene accolto da un finimondo. Poco prima una colonna di repubblichini percorreva la provinciale verso Como. I partigiani avendo valutato la notevole differenza di forze aveva preferito non attaccare i repubblichini e si erano nascosti nelle vicinanze, pensando che a breve sarebbero arrivati i partigiani che stavano tornando da Merate.

L’imboscata riesce: molti partigiani cadono colpiti; Degli Occhi, per evitare ulteriori morti accetta la resa. I partigiani sono buttati a terra, con le mani dietro la nuca e percossi violentemente. Mentre il comandante dei repubblichini, il colonnello Petti noto seviziatore nel campo di Carpi, inizia l’interrogatorio di De Occhi, si avvicina il camion con i partigiani di Sas. La battaglia riprende nell’oscurità, i partigiani sono di nuovo sorpresi riescono comunque a disperdersi nei boschi vicini.

Cala il silenzio. I fascisti convinti che non ci sia più nessuno proseguono verso Como. Sul terreno sono rimasti 21 partigiani più 4 feriti. A rinforzare la Puecher sono arrivati altri partigiani della divisione Garibaldi di stanza a Renate e Veduggio.

Nella notte tra il 26 e il 27, all’inizio della discesa di Barzago verso Bulciaghetto, tre partigiani della Puecher, Francesco Giovenzana, Giovanni Preda e Carlo Zappa danno l’alt alla colonna.

Alla loro azione rispondono i miliziani. La battaglia continua; nel frattempo il comandante dei miliziani manda un ostaggio a negoziare il passaggio; questi preso dal terrore si nasconde. Il comandante fascista pur nella difficoltà della situazione decide di non intervenire sugli ostaggi, ritenendo che essi potranno essere più utili più avanti.

Nel frattempo, la colonna nazifascista era arretrata verso Bevera in attesa di rinforzi; essa si rivela non vana. Riprendono la strada verso Como, oramai sono sicuri di avere la strada libera, per questo si liberano degli ostaggi fucilandoli, come abbattono 4 operai che stavano scendendo in soccorso dei partigiani.

Anche le perdite dei fascisti sono notevoli, anche se non si hanno numeri. Persone che abitavano nelle vicinanze hanno riferito di un camion con tanti cadaveri a bordo, grondante di sangue.

Nel frattempo, una macchina civetta dei fascisti proseguendo verso Lambrugo è intercettata dai partigiani di Italo Moro, che si stavano recando a Bulciago. Ne nasce un equivoco, i partigiani scendono dai propri automezzi credendo di avere a che fare con i propri compagni. Vengono mitragliati. All’altezza di Lambrugo, altri 3 partigiani che erano usciti alla ricerca del comandante Moro vengono uccisi.

Solo l’intervento del parroco di Lurago, don Abramo Mauri, riesce a scongiurare l’ennesima strage, vista la sproporzione tra le truppe e gli armamenti.

Sulla provinciale hanno perso la vita 37 partigiani, 31 della Puecher, i 4 operai parmigiani e due garibaldini.

Siamo alla fine il 28 aprile si affacciano in Brianza i primi veicoli esploratori americani.

Irene Crippa, staffetta partigiana e autrice di “Una pagina della Resistenza in Brianza” il primo libro sulla resistenza in Brianza pubblicato nell’ottobre del ’45, così racconta la notizia: “l’ing. Crippa, telefona da Missaglia al conte Della Porta avvertendolo che arrivano gli americani.

– Americani? Impossibile

– Arrivano. Sono moltissimi, con carri armati, autoblinde …

Anche Sas da Bulciago telefona:

– è annunciato l’arrivo di una grossa colonna, cosa faccio?

– non sparare per amor del Cielo! Sono gli Americani!

– ma no!

– Ma sì!

Son davvero gli americani.”

Nel suo diario Edoarda Della Porta così descrive l’incontro tra il padre e l’ufficiale americano.

“L’ufficiale americano apre la carta dove è descritta la zona tra Como e Merate, e chiede ai papi le posizioni tedesche da abbattere con le nostre potenti artiglierie. Ed è bello e grandioso, è legittimamente superbo poter dire, come il conte Della Porta dice al comandante d’oltreoceano -” Non c’è più niente da battere. Abbiamo fatto tutto noi!”“La via è libera, potete proseguire senza preoccupazione. Tutta la zona a nord di Milano è stata liberata dalle brigate partigiane. L’americano esprime meraviglia: “Ma è realmente possibile?” “Abbiamo combattuto due giorni e tutti i tedeschi sono nelle nostre mani.” “Incredibile ciò che avete fatto, un lavoro meraviglioso. Mi congratulo con voi”

Sull’asfalto, che ha visto l’eroismo e il sacrificio di pochi uomini senza divise e con armi di fortuna, sfila adesso la potenza calma e cordiale del popolo più ricco del mondo.

Il 27 aprile Mussolini, che di nascosto e camuffato cercava di arrivare in Valtellina, è catturato a Dongo e il 28 aprile viene fucilato. Nello stesso giorno a Vimercate subisce medesima sorte il segretario del partito fascista Farinacci, colui che a fomentato la ritorsione nei confronti dei partigiani.

Irene Crippa esprime in modo esemplare lo spirito della Resistenza in Brianza e in Italia con queste parole:

“Giancarlo Puecher, Guerino e Carletto Besana, Livio Colzani: uno studente, un salumiere, un muratore, un impiegato. Quattro posizioni sociali: felice rappresentazione di tutto il popolo nella comunione dell’eroismo.

Quattro tempre diverse: al pensoso ardore dell’uno contrapposto l’istintivo slancio dell’altro, all’impulso spavaldo la calma fermezza, al coltivato pensiero la candida semplicità. Anche qui l’accostamento è splendido e squisitamente rappresentativo.

Ed è bello, è giusto, è augurale che sia così.

Che – ce lo dicono i nostri martiri – tutto il popolo sa esser presente quando la patria chiama”.


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